IN CAMMINO CON L’AFRICA
Di seguito gli estratti degli interventi dei relatori che hanno partecipato al Convegno “In cammino con l’Africa” organizzato dal Se.A.Mi. in occasione dei 10 anni dalla nascita.
Saluto di Suor Elisa
Tutti sanno quanto ami l'Africa e quanti anni vi ho passato con le mie consorelle. Anche il Se.A.Mi. è nato sotto il segno della speranza, proprio perché crediamo nelle possibilità dell'Africa. Si dice che i missionari sono narratori e ricettori di speranza con la loro vita anche fino all'estremo sacrificio. Ma un missionario non è solo colui che parte ma anche colui che resta perché è un missionario ogni narratore di speranza. Sia che lavori da una parte che dall'altra del mondo, ma sempre al servizio della speranza e dell'umanità che cerca di riacquistare la sua dignità. C'è chi è chiamato a partire chi è chiamato a restare. Madelaine Delbrel, una grande missionaria delle periferie parigine, scrive in una sua lettera: “Noi riteniamo che loro sono chiamati a partire e noi siamo chiamati a restare... Non abbiamo il diritto di scegliere tra il partire e il restare, l'importante è essere narratori di speranza. Siamo inseriti nella perpetua missione della Chiesa e del mondo. Siamo il dito mignolo di un immenso corpo in marcia nello spazio e nel tempo. Anche quando siamo inerti altri ci spingono e ci conducono". Grazie di aver accolto il messaggio del Se.A.Mi. e di averlo seguito come ispirazione di Dio per questi lunghi 10 anni. Grazie a tutti. Introduzione don Ugo Quinzi (Sacerdote della Diocesi di Roma) Come spunto di riflessione sull'interpretazione della situazione africana è opportuno seguire tre linee guida: 1. Il rapporto tra il concetto di Africa e il concetto di africano. E' possibile fare dell'Africa qualcosa che non sia considerato un oggetto, ma un continente di uomini e donne, soggetti personali di questo mondo? 2. L'Africa è un business, è un grande affare. Lo è per chi vende le armi agli africani, lo è persino per le organizzazioni religiose che portano loro il cibo, lo è per le organizzazioni religiose che trovano tra gli africani il terreno fertile ove hanno la possibilità di piazzare il loro "prodotto" trascendente o non trascendente, a seconda dei casi. Lo è per chi s'impegna a studiarla e per chi si impegna a sfruttarla. Lo è per le organizzazioni che vorrebbero liberarla dalle ingerenze dell'ingombrante pensiero occidentale ed anche per chi stampa riviste e libri sugli africani. Che cosa succederebbe se l'Africa non si facesse più trattare da business? 3. I valori umani africani sono solo patrimonio africano o sono anche patrimonio europeo, ma gli europei li hanno dimenticati, non li hanno più o non li hanno mai avuti? Come è possibile che certi valori umani non collidano con i valori religiosi o, peggio, che certe credenze religiose poste alla base di certi valori sociali si manifestano infondate o addirittura contrarie alla dignità umana? Cosa succederà? Sono domande che bisogna porsi: c'è qualcosa di più che si può fare oltre a quello che già facciamo? Il pensiero scientifico e il rinascimento africano Filomeno Lopes (Giornalista Radio Vaticana) Vorrei riflettere sul pensiero scientifico dell'Africa. Esso deve essere riconosciuto se si vuole realmente sostenere l'Africa. Ecco perché i vescovi soprattutto dopo il sinodo africano hanno dato molta enfasi all'educazione al pensiero africano. Educare o perire dirà lo storico burkinabè Joseph Ki-Serbo'. Non abbiamo alternativa. Nessun paese al mondo può effettivamente aspirare allo sviluppo senza che ci sia una ricerca scientifica. Questa ricerca scientifica esiste, semplicemente viene messa da parte politicamente e religiosamente. Voler aiutare l'Africa significa iniziare ad ascoltare un poco per entrare in dialogo con la classe intellettuale africana. Jean Marc Ela dice che nessuno può chiudere gli occhi sul fatto che l'Africa è crocifissa. Ma da questa amara considerazione si è elaborato il nuovo progetto politico, culturale ed economico del cosìddetto rinascimento africano. Questo progetto costituisce la nuova utopia che domina il dibattito intellettuale africano di questo nuovo millennio, e ad esso sono ancorate le speranze di un nuovo ciclo vitale per il continente. A differenza di altri tentativi la novità è che questo dibattito è promosso dall'Unione Africana che si è riunita la prima volta a Dakar e per la prima volta nella storia i capi di stato hanno acquisito la consapevolezza della necessità di aprire il dialogo con la classe intellettuale panafricana. Tutta questa effervescenza consiste nel cercare di ripercorrere questo progetto di rinascimento africano usando come guida la cultura scientifica che da millenni esiste nel continente ma che contraddizioni storiche e geopolitiche hanno sempre citato e occultato. Si tratta in altri termini di riflettere sul rinascimento africano partendo dalla terra, dalle diverse terre africane come luogo di socializzazione, di produzione culturale, politica, religiosa, economica e spirituale e dal popolo africano come vero protagonista storico. Si tratta di domandarsi quali sono le possibilità e qual è la strada perché il popolo africano abbia riconosciuta la sua storia e la sua storicità. Le condizioni geopolitiche sono certamente sfavorevoli, ma esse spingono ad accettare serenamente la consapevolezza che l'era della preservazione di se stessi e dei singoli destini è compiuta e che da questo punto di vista la fine del mondo è davvero arrivata per tutti noi esseri umani abitanti del pianeta terra se non consideriamo che necessariamente dovremo avere uno stesso avvenire, così come da un punto di vista antropologico e storico abbiamo avuto uno stesso passato. Il problema è che gli africani hanno preso consapevolezza mentre non è così per gli altri popoli come dimostrano i problemi legati all'immigrazione anche in Italia. L'Africa che dobbiamo ricostruire è un'Africa che non deve voler imitare nè tanto meno raggiungere il tenore di vita degli altri, ma capace di camminare da sola notte e giorno in compagnia degli altri abitanti della terra. E’ per questo che la parola d’ordine è Partnership con gli intellettuali e con gli altri popoli della terra per rendere effettivo il rinascimento africano. Si sente un'impellente necessità di scambio tra Africa e resto del mondo. Il problema è che non c'è sempre reciprocità nella ricerca di questa partneship a uguale livello. C'è il rischio che essa si realizzi ma come quella tra un cavaliere e il suo cavallo.
Pensiero e impegno delle donne Sara Tagliacozzo (Antropologa)
Faccio parlare le donne intellettuali, scrittrici e artiste africane che con il loro pensiero e il loro lavoro si sforzano di modificare le condizioni di vita in Africa e di sostituire le rappresentazioni dell'Africa come povertà e dramma con rappresentazioni di ricchezza, di vita, di elaborazione e produzione di pensieri e di valori. Werewere Liking, intellettuale camerunese che vive in Costa d'Avorio, riporta sempre l'immagine dell'albero in cui ogni ramo e ogni foglia rappresentano un punto di vista sulla divinità nel mondo e nessun ramo e nessuna foglia possono rendere quello che è la pluralità della vita: nessun punto di vista può essere considerato come l'unico. Voglio esporre due concetti. Da una parte, il concetto di "estetica dell'esistenza" che sostiene l'importanza del ruolo avuto dalle donne nel focolare, nelle loro case, nella cura della famiglia: si tratta dell'azione politica del quotidiano che dà forza ai propri uomini e ai figli per difendere la loro dignità. Dall'altra parte, il concetto di "economia della vita” che sostiene un'economia che non dà profitto ma permette alla società di vivere grazie alla cura dei valori di solidarietà. Questi due concetti sono la testimonianza della vitalità delle donne intellettuali africane che non sono figure isolate nei loro centri di ricerca, ma sono donne che traggono spunti di riflessione dalla società, dal popolo, dagli uomini e dalle donne meno colte. Essere intellettuali e donne di pensiero in Africa significa mettere in atto tutta una serie di riflessioni sulla storia e sulle tradizioni africane che hanno sempre visto le donne escluse dalla politica e dai governi in base a una ricostruzione dei ruoli di genere che le legava al solo ruolo del domestico. Queste intellettuali lavorano invece per cancellare questa tradizione. Intellettuali come il ministro della cultura Aminata Traorè in Mali o scrittrici come Werewere Liking in Costa d'Avorio o antropologhe come Amina Mama in Sudafrica hanno la capacità di riflettere e produrre il pensiero nella società senza perdere il contatto con la stessa. A tali figure deve essere dato spazio di presenza perché il loro contributo è quello di rompere le rappresentazioni stereotipate della donna africana come vittima ontologica. Cito da ultimo un pensiero di Werewere LiKing: "La maggior parte delle donne che mi hanno guidato nel mio percorso sono donne tradizionali, donne che appartengono a un'Africa antica, sacerdotesse, guaritrici, donne della strada, donne che si battono tutti i giorni affinché le cose vadano avanti, donne dei mercati africani, donne che si svegliano alle 4 del mattino per fare continuare la vita. Queste donne mi hanno dato molte lezioni sul potere di donna". Il cinema africano delle donne Maddalena Franzosi (Associane Culturale Yeleen-Festival Panafricana) Il cinema, come mezzo espressivo, ha coinvolto diverse donne che, nonostante molte difficoltà e resistenze, sono riuscite a produrre e realizzare opere di notevole interesse artistico e culturale. All'inizio le cineaste donne erano veramente poche ed erano considerate delle vere e proprie "pioniere", oggi con le loro opere fanno parte della storia del cinema africano. Queste donne hanno girato film in molti paesi del continente. La senegalese Faye, in particolare, è stata la prima donna a girare un lungometraggio in Africa, era il 1975, e il film era Kaddu Beykat, girato con i veri abitanti del suo paese d'origine, secondo lo stile del “cinèma veritè”. Nei suoi film coniuga finzione e documentario nella costante ricerca della memoria e della storia, sempre impiegata a trasportare in immagini combattenti la sua militanza politica. Anne Laure Folly, togolese, è autrice di numerosi documentari politici militanti. In questi film l'esigenza del narrare passa in prima istanza attraverso la descrizione della realtà sociale africana, insistendo sui temi dell'entità nazionale come le risorse umane ed economiche, le difficoltà del ritrovare un'identità tra il recupero della tradizione e l'avvento della modernità. Nelle nuove generazioni di cineaste questa forte valenza politica si stempera, senza però far venire meno l'interesse per la società e le sue trasformazioni. L'attenzione si concentra per la maggior parte su vicende individuali che si ineriscono spesso in un contesto più ampio in cui la società è sempre coinvolta, a vario titolo, nelle vicissitudini personali. Le vicende femminili sono in molti casi il fulcro delle storie che tratteggiano ritratti di donne forti, che non accettano di rimanere confinate nel ruolo di mogli e madri, che lottano per i loro diritti e che si fanno portatici di nuovi valori e consapevolezze, spesso a tutto vantaggio anche della comunità in cui vivono. Una regista particolarmente rappresentativa di questo nuovo cinema femminile, è la burkinabè Fana R. Nacro che, con le sue opere, ha affrontato praticamente tutti i temi "scottanti" della società attuale africana come il tema della malattia (AIDS), dalla presa di coscienza alla convivenza con la malattia. In tutte le registe alla denuncia cruda e drammatica si sostituisce una volontà ottimista, che guarda non tanto a ciò che non si riesce a combattere ma piuttosto a quello che si può fare. Io credo che sia questa l'immagine che il nuovo cinema africano, in particolare il "cinema delle donne", voglia e debba dare di sè: ossia un punto di vista interno, ma che si rivolge a tutti, non solo un cinema che parli all'Africa dell'Africa, ma in grado di superare i confini nazionali e diventare esperienza universale. E' quello che sinceramente ci auguriamo! Confronto di culture Carmine Curci (Direttore di Nigrizia) Parlando di confronto di culture voglio parlare di Afriche e non di Africa. Da che punto di vista vediamo l'Africa? Nigrizia cerca di leggere l'Africa dalla parte del sud del mondo e vi garantisco che la prospettiva è molto diversa da quella dei grattacieli di New York o dell'ONU di qualsiasi altra parta del mondo. Quando la storia si legge dall'atra parte, emergono nuove realtà, nuove dimensioni. L'Africa o le Afriche sono: 30 milioni di km quadrati, oltre un miliardo di persone, 1400 etnie, più di 1400 lingue, cioè il 30% delle lingue parlate al mondo. Quando penso alle culture in Africa penso al mercato: il mercato è una celebrazione d'incontro, non è uno scambio commerciale, è un incontro di persone. Le famiglie si incontrano, alle volte il mercato diviene anche il teatro di riconciliazione tra famiglie. La protagonista del mercato è la donna. E' lei che commercia, che porta avanti l'economia informale dell'Africa, è lei che sa gestire e sa dialogare. Non credo all'immagine dell'Africa dei drammi. Vedo un'Africa che cammina, che non si ferma. La grande esperienza che ho vissuto in Africa è questa: nonostante tutto è un'Africa che va. Mi vengono in mente due elementi forti di liberazione per l'Africa: resistenza e creatività. Resistenza: pensate alla forza che hanno avuto questi popoli nella lotta al colonialismo, al neocolonialismo, ai governi dittatoriali, a una Chiesa che non sapeva cosa dire e cosa fare. Eppure sono andati avanti. Creatività: pensate alla capacità degli africani di sapersi creare il giorno e il giorno dopo. Perchè sono falliti i grandi progetti di sviluppo? Jean Marc Ela diceva che l'Africa non rifiuta lo sviluppo, però vuole una diversa dimensione dello sviluppo: ci sono altri modi di rapportarsi con lo sviluppo. Anche noi missionari abbiamo avuto difficoltà a comprendere questa realtà, cioè la diversità. Diceva Ela che lo sviluppo diventa una parola vuota se non si tiene conto della cultura dei destinatari. L'Africa sente bisogno di questa diversità. Parlando con molti economisti africani, essi mi dicevano che la conseguenza più devastante del colonialismo non è stata la perdita del controllo locale sulle materie prime, ma l'avere creato una frattura politica e culturale tra i leader politici e la loro gente. Oggi qual’è l'elemento che ci fa ben sperare? E' la società civile, che si sta sempre organizzando e impegnando dal punto di vista culturale: c'è una riscoperta dei valori culturali, la capacità di sapersi staccare dai padri delle indipendenze, la capacità di essere anche critici nei confronti dei propri leader politici. L'altro elemento importante sono i giornalisti: si è creata una grande classe di giornalisti, capaci di saper parlare. Dove ci sono stati giornalisti uccisi, picchiati e torturati per la manifestazione del loro libero pensiero, lì abbiamo stampa libera, abbiamo cioè più persone capaci di criticare i leader locali. La cultura africana si fonda sulla pace e sulla convivenza pacifica. Non si tratta di idealizzare la cultura africana ma di riscoprire e approfondire le ideologie africane nella loro cultura sostanzialmente non violenta. Guardare come i leader africani dopo la colonializzazione hanno saputo riconciliarsi con i loro colonizzatori. Tutti i gesti quotidiani degli africani hanno una loro cultura. La cultura dell'Africa guarda sempre all'insieme, al senso comunitario, ha una concezione olistica della persona. C'é sempre la forza comunitaria del vivere. Perchè credo nell'Africa e che cosa può dare l'Africa alla cultura occidentale? Francis Bebey, musocologo camerunese diceva: "La storia dell'Africa deve essere vista su tempi più lunghi della nostra vita umana. L'Africa non è il continente del momento, è il continente di sempre. Gli africani porteranno al resto del mondo la fede in un avvenire quando gli altri non crederanno più in un avvenire, porteranno il semplice "non ridere", cioè il semplice sorridere, perchè la vita è bella. Porteranno sicuramente la vita perchè gli africani credono in una vita che non finisce e ciò aiuta a sopravvivere dopo tanti secoli di sofferenza. Gli africani possono portare al mondo la vita perchè noi siamo vivi".
CONCLUSIONI don Ugo Quinzi (Sacerdote della Diocesi di Roma)
Un bilancio consuntivo sull'attività dell'associazione si impone, ma basta osservare che dopo 10 anni siamo qui per determinare che il bilancio è positivo. Bisogna però fare un bilancio preventivo che, secondo me, deve tener conto di tre punti:
1.
Sviluppo di un nuovo modello di approccio all'Africa. Il rinascimento africano di cui ha parlato Filomeno Lopes basato su uno scambio del pensiero scientifico ci obbliga a ripensare questo approccio. L'era dei destini singoli è compiuta, non è più possibile chiudersi nei propri confini e fare finta di niente. E' arrivato anche per noi il momento di metterci alla scuola di altre culture, di superare e abbandonare le posizioni egocentriche che fanno parte della cultura europea.
2.
Sviluppo di un nuovo modello di rapporti "economici" con un recupero di valori etici. Non solo i nostri valori ma anche i valori di altri, valori altri. Valori che è vero che magari pensiamo e coltiviamo anche noi, ma che non sono totalizzanti. L'aver pensato di vivere in maniera autocratica non funziona, occorre recuperare modelli di rapporti economici non funzionali, non puntanti alla funzionalità di quella cosa o di quella persona. Una delle sfide per le prossime generazioni soprattutto per i nostri nipoti è come recuperare un rapporto all'interno della società civile che non sia basato solo sulla funzionalità, ma che sia basato sui rapporti interpersonali.
3.
Sviluppo di un nuovo modello missionario. Che ci vado a fare in Africa come cristiano? Il bisogno di redenzione dell’uomo e della donna è un fatto universale che non ha distinzione di nazionalità. Cristo ha pensato la redenzione di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. E' qui che sono chiamato attraverso la mia opera a tradurre il messaggio evangelico. Un'azione missionaria non può dirsi riuscita se non tiene conto della cultura dei destinatari. Non esiste una Chiesa che è un modello per tutti. Qual’è la via africana della Chiesa? Mi sono stupito di ritrovare in Africa il rito romano. Posso dire lì Messa come la dico a Roma e non c'è nessuna differenza. Eppure le persone sono differenti. Qual’è la via africana della Chiesa? Tutti standard? Non lo so. Non sono convinto di questo. L'ultimo pensiero: la missionarietà è soprattutto un modello di speranza. Se un missionario a qualunque livello, a qualunque titolo non fornisce un messaggio di speranza teologale, la missionarietà non ha senso. Quello che è venuto a fare Gesù Cristo quando ha detto alla gente guarda che il egno dei cieli è anche per te (ladri, prostitute...) era un atto di speranza che resuscitava realmente le persone, le faceva diventare persone nuove. Allora un missionario non può non tenere conto di questo, occorre dare segnali di speranza. Chiudo con una provocazione. Il modello dell'occidente è in crisi e c'è una necessità di riscatto sulla quale ci si interroga a vari livelli. Si parla di sviluppo sostenibile. I nostri figli e nipoti dovranno pagare una cambiale di disastri: ambientali, economici, di relazioni personali. Chi ama sul serio è disposto a guardare il futuro e interpretarlo e modificarlo oggi affinchè non lo scontino i nostri figli o i figli africani. Queste cambiali dobbiamo stracciarle noi oggi.