L'attenzione che abbiamo verso chi vive in condizioni di povertà e non ha possibilità di sviluppare la propria persona, nasce dall'interesse per le disparità sociali e dall'offesa che proviamo per le violazioni alla giustizia.
In quanto cristiani, dobbiamo avere la consapevolezza che siamo uomini "capaci di forgiare la storia", uomini che hanno la grande responsabilità di agire prioritariamente per trasformare la società. Una responsabilità che è grande perché ha una dimensione universale, nello spazio e nel tempo, si estende al futuro e dipende dai comportamenti di oggi.
Il SEAMI ci sta facendo conoscere la dimensione di questa responsabilità: ci sentiamo "famiglia" con fratelli che si trovano in un altro continente, agiamo oggi affinché i bambini abbiano un futuro, poniamo le basi perché sia trasformata una società ingiusta in quanto trascura i più deboli, testimoniano una concreta solidarietà come comunione e partecipazione.
Camminare insieme ai nostri piccoli fratelli africani Benedicte, Kevin, Devis, Yendarè e gli altri, vuol dire vivere il presente in modo che sia la costruzione del futuro, solo così possiamo dare senso alla nostra vita.
Vivere il presente. «Essere la voce di quelli che non hanno voce e testimoniare la predilezione del Signore verso quelli che soffrono e i poveri» (Puebla 268).
E' un impegno concreto che dovrebbe portare a una semplificazione della vita, che tende sempre di più a identificarsi veramente con i più deboli.
Avendo continuamente davanti la vita dei poveri ci sentiamo spinti a non voler essere troppo diversi da loro, ci rendiamo conto che non possiamo trasmettere uguaglianza e fraternità se restiamo una comunità di borghesi, legati agli schemi che ci qualificano per quello che produciamo, per la nostra ricchezza, per i nostri attributi, per quanto siamo integrati.
Un salto qualitativo nella nostra vita di cristiani è di essere capaci di un amore che condivide, considera tutti sullo stesso livello, tutti uguali. Questa orizzontalità totale si attua con metodi differenti da quelli conosciuti dalla nostra società: si basa su un amore che crea vera amicizia perché non viene dall'alto.
Se crediamo in questo amore dobbiamo attuarlo nella realtà: non esistono due tempi e due mondi, quello dell'essere e quello del fare.
Ma come attuarlo? Innanzitutto introduciamo nuove relazioni di uguaglianza, libere dalla deformazione del potere e del possedere, facciano le nostre scelte non in vista di un interesse egoistico ma di un interesse che è al di fuori di noi.
Combattiamo con decisione il desiderio di comandare, di accumulare, di emergere sugli altri, sono i vecchi schemi che hanno prodotto povertà ed emarginazione.
La nostra esperienza con il SEAMI può essere un elemento di valutazione ogni qualvolta dobbiamo fare una scelta. Questi bambini che aiutiamo, che non hanno possibilità di andare a scuola, che non conoscono vacanze, che non hanno mai visto il mare, che non hanno mai fatto un viaggio, che quando si ammalano non possono curarsi, saranno con noi in ogni momento della nostra giornata, sicuramente ci suggeriranno come comportarci in ogni situazione perché il nostro impegno si manifesti in tutta la vita, anche economica, sociale e politica.
Costruire il futuro. Se la povertà è prodotto di situazioni e strutture della società, l'amore, oggi, deve diventare opera di giustizia verso gli oppressi e i deboli.
La carità di oggi, compreso quella del SEAMI, deve diventare giustizia di domani, e noi dobbiamo fare di tutto per facilitare questo passaggio.
Ricordiamo le parole di don Helder Camara, vescovo brasiliano dei poveri: «I nostri gesti di assistenza rendono gli uomini ancora più assistiti, a meno che non siano accompagnati da atti destinati a strappare le radici della povertà» e le affermazioni del Concilio Vaticano II «Siano innanzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam Auctoritatem 8).
L'invito è duplice :
- Serve la carità ma bisogna operare per la giustizia, per i diritti, se la carità è vera genera
giustizia e continua a svilupparla
- si deve lottare e promuovere la giustizia, conseguire un ordinamento politico, sociale ed
economico conforme al piano di Dio; ciò significa restituire dignità e mezzi materiali a coloro che vivono nell'oblio e nell'emarginazione.
Essere cristiani vuoi dire essere assetati di giustizia. Quando Gesù cacciò i mercanti dal tempio, lo fece perché era ingiusto che loro si arricchissero in un luogo sano lasciando che i fratelli morissero di fame. E' nella giustizia che bisogna provare il proprio amore. Essere giusti vuoi dire sentirsi direttamente responsabili degli altri (degli immigrati, dei barboni) perché il mio modo di vivere, la libertà di scegliere ciò che voglio al supermercato, può anche provocare sofferenza, a volte morte, di altri esseri umani.
Tutto ciò non è un'appendice della nostra fede, ma ne rappresenta la sostanza.
La nostra scelta per la giustizia non può essere semplicemente una decisione primaria ma piuttosto un impegno profondo che afferri il centro della nostra persona e ci metta in condizione di portare, da veri adulti, uno spirito rivoluzionario.
Dobbiamo prenderci la responsabilità di questo rinnovamento e attuarlo nel quotidiano, in una testimonianza pratica, esistenziale, vissuta nell'impegno concreto e con risultati ben visibili.
Dobbiamo preoccuparci che la crescita della nostra persona sia in relazione alla crescita della società.
Il Regno di Dio siamo noi, la strada che facciamo, è cammino. Le difficoltà e le contraddizioni non debbono costituire un ostacolo per la realizzazione del nostro progetto di vita.
1) Quanto incide nel mio stile di vita l'esperienza di impegno nel SEAMI?
2) In quale direzione può svilupparsi il mio impegno perché diventi un progetto di vita?
3) Quanto mi sento cresciuto nei valori di alterità, amore, autenticità?
4) Cosa mi manca per sentirmi responsabile dei miei fratelli e agire di conseguenza?