Prologo di Suor Elisa Carta F.d.S
Carissimi Amici, "Il Signore vi dia Pace'
Sono di ritorno dal viaggio in Burkina Faso ed in Togo dove sono stata, per la nostra avventura annuale, con 16 ragazzi del Se.A.Mi. Un viaggio di due settimane, saturo d'emozioni per tutti, specialmente in occasione degli incontri con i nostri bimbi, ma anche per altri contatti significativi ed esperienze forti che hanno coinvolto, anche emotivamente, i ragazzi più giovani del Se.A.Mi. e quelli che facevano la loro prima esperienza africana.
Rivisitando, nella memoria del cuore, questo vissuto recente, mi piace condividere con voi un'esperienza, toccante e commovente, vissuta da tutti noi.
Abbiamo visitato, a piccoli gruppi, "un popolo che giaceva nelle tenebre' di un carcere di pochi metri quadri di superficie, dove si trovano costretti circa 150 detenuti in condizioni disumane, indescrivibili. "Un inferno umano", ci ha detto uno di loro, rivolgendoci la parola a nome di tutti, ma "dove Dio abita più che altrove". Sì, un inferno umano, un carrozzone di morte dove vive e muore un popolo di affamati, di miseri di tutte le miserie, di abbandonati al loro destino e alla loro disperazione. Sono sicuramente gli ultimi della terra, i lebbrosi d'oggi che Francesco d'Assisi avrebbe stretto fraternamente in un unico abbraccio d'amore.
È qui, in quest'inferno umano, in questa situazione disumanizzante dove per sopravvivere l'uno è costretto a mangiare il vomito dell'altro, che Dio ha inviato il suo "angelo di luce" nella persona di una piccola sorella francescana povera, fragile e umile, per divenire, in quest'inferno, cuore pulsante dell'amore grande di Dio, presenza materna per i più orfani della terra, segno di pace per chi "sorella morte" raccoglie dal carrozzone, e provvidenza e speranza per chi continua la corsa infernale sperando di rivedere un giorno la luce, quando il carrozzone si sarà fermato.
Quest'angelo di Dio si chiama suor Eleonora!
È lei che ha capito fino in fondo il mistero di croce, di questi crocifissi della storia e che, come Francesco d'Assisi suo Padre e modello, non esita ad abbracciare, confortare, curare, nutrire questa fetta d'umanità sofferente per la quale ormai vive, lavora e lotta, e con la quale celebra anche le "Lodi di Dio Altissimo".
"Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (Is 9, 1).
In questa esperienza del carcere mi è ritornato in mente questo versetto del profeta Isaia riferito al Messia. Nel rispetto delle differenze essenziali, ho pensato che anche per questo popolo di carcerati che giaceva nelle tenebre, una piccola luce rifulse! Sì, perché a loro dire, Eleonora è Luce, Angelo di Dio, madre degli orfani e sorella di tanti crocifissi umani, perché non distoglie lo sguardo e non si tura il naso entrando nel bunker della miseria, dove il fetore ti toglie il respiro. È a lei che, ciò che prima era insopportabile, è divenuto canto di una grande dolcezza. Ormai tra i suoi pensieri, quello dominante, è l'assillo per i suoi prigionieri per i quali diviene "pane spezzato", non solo quando riesce a portare i 150 pani per mitigare la fame di questi esseri affamati, ma anche quando trova il coraggio di chiedere, "per amore di Dio", la carità per loro.
È presso questi suoi poveri che lei vorrebbe fissare la sua dimora permanente, certa che si troverà a suo agio, più che nella casa di un re.
Grazie, sorella Eleonora, per il tuo coraggio e la tua coerenza.
Grazie, perché sei segno evidente dell'amore di Dio in questo mare di miseria.
Grazie, perché hai capito in profondità la vita e lo spirito di Francesco d'Assisi e ce ne dai testimonianza.
IL MIO BAMBINO MI HA REGALATO DUE POLLI! (una dignità che qui ci sogniamo)
di Don Alessandro
Voglio donarvi all'inizio questa frase ad effetto per dare a voi lo stesso "effetto" che ho provato io, anche se so che le parole non potranno mai esprimere appieno le sensazioni che ho vissuto. Innanzitutto, perché il bambino (che non è più un bambino, ma un bel ragazzo di 16 anni di nome Mathieu) non è "mio", perché sarebbe assurdo pensare che il fatto di prenderlo in adozione e di aiutarlo finanziariamente, mi arroghi un diritto di possessione su questi bambini bisognosi. La prima cosa che dobbiamo assolutamente rispettare è la loro dignità, perché sinceramente è la cosa che più mi ha colpito della gente africana: riuscire a mantenere, nonostante la povertà, i disagi e la sofferenza, una dignità che qui ci sogniamo.
Ed infine la gioia e la sorpresa di questi due polli, che Mathieu mi ha donato con una sorprendente luce negli occhi: una luce piena di affetto e di gratitudine sincera. E questo mi ha fatto ricordare un famoso episodio del Vangelo, quello della povera vedova che mette i suoi pochi spiccioli nelle offerte del tempio, circondata da ricchi signori che riempiono le offerte con i loro pesanti sacchetti. Ma all'occhio attento e giusto di nostro Signore è la vedova quella che ha messo più di tutti, perché i ricchi mettevano del loro superfluo, mentre la poverella metteva tutto quello che aveva per vivere. E questo mi ha fatto pensare a me stesso: a cosa rinuncio per quei 26 euro al mese per aiutare Mathieu?
Forse ad un CD o ad un DVD in più? Forse ad una pizza con gli amici? Mathieu invece, per quei due polli, che mi ha portato facendosi 12 km. di strada (a piedi!), sicuramente ha rinunciato a qualcosa dì indispensabile per la sua sopravvivenza. Ma l'ha donato con gioia, senza problemi, con l'unica preoccupazione di riuscire ad esprimere la sua gratitudine nei miei confronti.
Allora, di fronte a questo, quali parole possono esprimere ciò che ho provato nel cuore? Se sapessimo noi portare la stessa attenzione nella vita di tutti i giorni, forse si supererebbero tanti nostri problemi ed incomprensioni. Quello che so è che questa esperienza ha riempito in maniera totalmente unica ed originale il mio cuore, sperando che ciò che ho provato io, riesca a tradurre in un amore concreto.
FARE, AVERE, ESSERE (lettera ideale a Patricia, bimba "adottata" del Burkina Faso)
di Giulio
Cara Patricia, ogni volta che ti rivedo in fotografia ripenso al giorno in cui ti ho adottato insieme a Vittoria, la mia compagna di vita che, pur stando a Roma, era lì tra noi con il cuore, l'animo e la mente in un'ineffabile unione spirituale. E rivedendoti mi ritornano alla mente tutti i momenti trascorsi insieme a te e agli altri bambini, tutti con uno sguardo pieno di vita, con la pelle così scura e col sorriso che illumina il volto.
Sai, più ripenso al viaggio in Africa e più mi convinco che non ci siamo incontrati per caso, no, è stato il Signore l'artefice di tutto. Per lungo tempo, Lui ha posto in me un desiderio di andare a conoscere la tua terra e la tua gente, così povera e dimenticata.
Finalmente ho messo piede lì dove spesso i miei pensieri si andavano a posare, ma da cui i mille problemi quotidiani, contingenti, le paure e i dubbi, mi tenevano lontano. Già perché tutto è nato da un incontro scontro tra il Signore e me, di accettazione e di rifiuto per un'avventura piena di insidie, ma tanto affascinante.
Dolce Patricia, tu sei una bambina di 7 anni, vivi in un villaggio sperduto in Burkina Faso, alle prese ogni giorno con la sopravvivenza e non puoi certo capire facilmente che noi grandi uomini bianchi siamo un po' come gli alberi di baobab, grandi, grandissimi, ma solo in apparenza, perché dentro, le nostre anime sono fragili, proprio come i tronchi di quei grossi alberi.
«Quindi, bisogna invocare la protezione del Signore perché tutto vada bene ed il viaggio non metta in pericolo la nostra salute. Che assurdità il mondo, e allora tu cosa dovresti chiedere al Signore, eh?».
Cara Patricia, è stato un viaggio meraviglioso che ha lasciato un segno indelebile nel mio cuore. Quando ti vedo accanto a me nelle foto, sento che non era tutto un film, tutto è realmente accaduto. Tutto era vero, stupendamente e tragicamente vero: le coloratissime danze di benvenuto dei bambini, come gli sguardi rassegnati dei carcerati di Suor Eleonora, ridotti ad uno stato a dir poco miserabile. E sì, perché questa è la tua· Africa! La tua gente vive nel dolore quotidiano di non potersi sfamare a sufficienza, di veder morire i propri cari per banali malattie, perché i farmaci costano troppo ma, ciò nonostante, è generosa, ospitale e straordinariamente attaccata alla vita, tanto da trasmetterti la loro gioia di vivere.
Sono sicuro che il Signore vi tiene tutti sotto la sua protezione, la Sua Africa ha un posto particolare nel suo cuore. Eppure lì tutto grida giustizia e l'amore di Dio sembra assente ed il turbamento di trovarmi fra gente povera e disperata mi ha spesso invaso l'anima, senza possibilità di resistenza tanto fortemente che ancora oggi e, credo per sempre, resteranno in me tracce di sgomento e rabbia per come vanno le cose nel mondo.
Ma c'è Suor Alicia, piccola ed energica suora spagnola che dirige con altre consorelle africane la missione di Koupela, e lei mi dona la speranza, anzi lei incarna la speranza per il tuo domani, Patricia, e la sua testimonianza di completa dedizione al prossimo mi esorta a mettere la mia vita a disposizione degli altri con tutti i limiti e le debolezze che mi contraddistinguono. Le comunità missionarie incontrate rappresentano la vera chiesa che è luce e sale della terra. Lì le suore lavorano, sudano, pregano tutto il giorno, perché gli africani possano riappropriarsi della loro dignità di persone.
Quella dignità che non il destino, ma uomini ingiusti e strutture di peccato continuano a negare loro, perché parlare di fato, di bambini sfortunati, ha un grande vantaggio per tutti noi: ci allontana dalle responsabilità, ma una fede a cui non segue un impegno attivo di carità è pressocché morta di fatto!
In Africa la mia fede si è rafforzata e m spinge ancora di più a guardare con occhi critici e animo ribelle le ingiustizie di questo mondo che mi circonda, di quel Nord così ricco, spavaldo e distratto, che spesso si trova in "allegra compagnia" con gli spregevoli dittatori e potenti africani che soggiogano il popolo del continente nero.
La fede che ci hanno trasmesso le suore è piena di carità e di dedizione al prossimo.
Fare, Avere, Essere, da noi, cara Patricia, nel mio mondo, sono come tre fratelli che, avendo litigato, hanno scelto strade diverse e non si rivolgono più la parola.
C'è un Avere che lentamente si fa egoismo ed avidità tra le persone come tra gli Stati, un Fare che spesso perde il senso del suo agire e un Essere che diventa puro intimismo e non si guarda intorno e a tarda sera dice la preghiera e poi si addormenta pensando che tutto va bene così, anche se fuori continua a piovere a dirotto.
Invece, nelle missioni africane, si promuove l'armoniosa unione tra l'uomo ed il cristiano, tra preghiera e servizio, tra il pugno di riso ed il pane eucaristico, perché tutti i beni e le virtù terrene, se correttamente utilizzate, sono strumenti necessari di salvezza per gli uomini e per la costruzione del regno di Dio. Anche perché, se è vero che i cristiani sono tali se seguono Cristo, il primo grande insegnamento è che Egli era vero uomo e vero Dio.
Nei luoghi da noi visitati si è respirato il cristianesimo originario, perché abbiamo visto Cristo scendesse dagli altari ed incontrare con umiltà le persone là dove esse vivono e soffrono, nelle carceri, per la strada, nelle case e farsi infermiere, maestro, ragioniere, insomma tutto, ma proprio tutto pur di non abbandonare mai l'uomo credente e non.
Ed a me, anzi a noi dei SeAMi, giovani italiani cresciuti a calcio e pasta, che pur immersi ogni giorno nelle contraddizioni della società odierna riusciamo a vivere la nostra fede piccola, ma tenace, non resta che rimboccarci le maniche e provare a dare un aiuto concreto all'attività missionaria delle suore, per divenire un segno di speranza per le comunità africane.
Ecco, cara Patricia, vorrei terminare questa lettera ideale con l'augurio che ognuno di noi e dei nostri cari, possa far riecheggiare nei posti di lavoro e di studio, nella chiesa, come nella società civile le parole di San Paolo che, il 7 Agosto 2003, nel ritiro prima della partenza, mi hanno "colpito e affondato" e che da quel giorno mi fanno compagnia quando mi sento solo a naufragare nei mille perché della vita a cui non so dare risposta:
"Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole'!
A presto!
FERITE (E NON SOLO) D'AFRICA (La testimonianza dell'amore di Dio)
di Francesco
In un certo senso lo temevo, e purtroppo avevo ragione, l'Africa mi ha colpito, e non è stata delicata, no, non direi proprio, mi ha lasciato profonde e brucianti cicatrici. Mi ha scalfito lentamente ma inesorabilmente; in ogni occasione non evitava di aggiungermi un segno indelebile.
Mi ha segnato la povertà in cui vertono i suoi figli, condizione per la quale muoiono di fame, non in senso figurato, ma nel vero senso della parola, condizione per la quale la malattia può essere un'emergenza che sconvolge il sottile equilibrio economico della famiglia costringendoli a scegliere tra cibo e medicine, condizione per la quale masse innumerevoli di bambini, soprattutto loro, si spingono per le strade cercando di procurarsi i pochi spiccioli necessari per il pane vendendo ai viaggiatori generi alimentari di varia natura
Mi ha colpito l'ignavia, dote di un sistema che ha a se stesso il suo popolo, lo ha torturato, violentato e maltrattato per anni, ed ora lo lascia povero, inoffensivo e impotente a "sguazzare" in uno stato indecoroso che non ha mai cercato di migliorare. E' semplice notare i frutti di questo governo, basta fare un giro in auto: una sola strada asfaltata e migliaia e migliaia di buche, forse non così larghe da chiamarle crateri, ma abbastanza da fare ribaltare macchine, autobus, camion. Questo era, infatti, lo spettacolo godibile sulla strada: auto ferme al lato per problemi vari dovuti all'agibilità della via, autobus immobili ad aspettare eventuali soccorsi e a volte veri e propri camion rivoltati; una volta, essendo toccato tale destino ad un TIR che trasportava "fortunatamente" benzina, si era formata dal villaggio una fila di persone che dalle case correvano con secchi più o meno improvvisati per accaparrarsi un po' di combustibile per le lampade.
Mi ha scalfito l'ingiustizia, ah quanto! Il mio cuore piangeva e gridava vendetta alla vista di una città, una delle più grandi del paese fatiscente; bambini nudi e denutriti che giocavano nella terra, baracche di terra, paglia e alluminio arrangiate ad abitazione, situazioni ignobili ad ogni angolo, e poi improvvisamente, di tanto in tanto palazzoni in cemento armato, grigie costruzioni con tanto di giardino spiccavano nello skyline locale e all'entrata di ognuna, puntuale brillava una targa: “Casa del partito” o “Casa del popolo”.
Mi ha toccato l'ignoranza, facoltà con la quale si è in grado di abbandonare un figlio per strada accusandolo di stregoneria, solo perché il padre è morto, magari di AIDS malattia non infrequente in questo paese, pochi giorni dopo la sua nascita.
Mi ha tatuato un'enorme cicatrice la disumanità!! Le facce dei carcerati erano lo specchio della condizione psico-fisica impietosamente disumana in cui erano tenuti e in cui vertevano; alcuni di loro erano malati ed è per me ricorrente e doloroso il ricordo di uno di loro, che privo anche delle forze per alzarsi in piedi mi fissava, e il suo sguardo emanava una sofferenza talmente insopportabile, che dopo avergli regalato un sorriso, il distogliere da lui i miei occhi, risultò incoercibile.
Mi ha marcato la sofferenza che in chiunque era visibile: dai bambini deboli e malnutriti alle donne infestate dai parassiti per il lavoro nei campi, dagli uomini ormai stremati dall’AIDS agli anziani che con dignità estrema sopportavano la dura malaria che come ogni mese da decine d'anni faceva loro compagnia.
Sembrerebbe finora che io abbia riportato solo amari ricordi con me, in realtà dopo ogni scena o emozione che mi faceva gelare il sangue, arrivava una prova dell'esistenza di Dio che mi lasciava confuso, ma allo stesso tempo con una grande speranza in cuore.
Una di queste prove che riporto e di cui ho ancora viva l'immagine è sicuramente la gioia dei bambini nel vederci giocare con loro, nel vederci dare loro la nostra attenzione; era un'emozione inspiegabile, gratificante, emozionante. Il nostro poco era per loro molto, forse quanto non avevano mai visto o provato, ed avevano un modo naturale di farcelo capire: cercando i nostri sguardi, le nostre mani. Bastava una smorfia per farli sorridere, una carezza per renderli felici, un po’ d'attenzione per farli sentire amati.
Riporto con me l'amore con cui le suore si danno al prossimo, tutte indistintamente danno ciò che hanno: tempo, fatica, impegno per rendere il male di vivere africano più sopportabile. Aiutano le famiglie che non hanno da mangiare, danno la possibilità di andare a Scuola a bambini che non potrebbero (questo grazie a Voi), rendono testimonianza dell'amore di Dio ogni giorno, hanno servito noi che eravamo andati per aiutarle, e fanno tutto questo con una gioia incredibile; ed è proprio ciò che mi hanno insegnato: mettere tutto l'amore possibile nel servizio, in qualunque sua forma.
Infine ho colto un altro segno ancora, e che mi è stato di grande aiuto: la speranza; quel sentimento che l'Africa ti mette a dura prova, te lo smuove, te lo insidia, cerca di fartelo crollare, di sbriciolartelo e invece il mio ha retto, anzi lo hanno rinforzato Lucas, appena diplomatosi che ha deciso, scelta non facile e così scontata con l'aiuto del Se.A.Mi tutto di iscriversi all'università, quei bambini e ragazzi, chi più chi meno, comunque volenterosi di fare seguono la sua scia, i seminaristi di Sokodé motivati che in un mondo alla deriva hanno deciso di azzardare, Suor Eleonora che non curante dei pericoli e soprattutto dei consigli di molti, alimenta nel corpo e nello spirito i carcerati abbandonati da tutti, Suor Leontine che implacabile e instancabile ha messo su e continua a mandare avanti il miglior dispensario della regione contando solo su sporadiche donazioni di parrocchie e ospedali europei. E molto ancora potrei andare avanti, ma tutto ciò non cambierebbe né rafforzerebbe il mio pensiero.
Tutto questo. lo preso in quel continente dimentincato, ma soprattutto un'imparagonabile voglia di fare, forte di un'esperienza che mi ha messo di fronte in prima persona ai reali bisogni di un popolo intero e soprattutto basata sull'idea che un aiuto cha appare a me piccolo, trascurabile, invano come può essere aiuta- re in qualunque modo il Se.A.Mi, per l'Africa e per ognuno di quei bambini può valere un futuro.
LETTERA APERTA (Un viaggio che ti cambia l'anima)
di Edoardo
Cari amici, mi si chiede di descrivere le mie emozioni, le sensazioni, ciò che questo viaggio in Africa ha lasciato in me. Non è facile. E' un viaggio che ti pone tante domande; tanti sono i dubbi che affiorano, tante sono le contraddizioni vissute in un viaggio che al suo termine ho definito: un viaggio che ti cambia l'anima.
Sono tante le realtà che mi hanno lasciato spiazzato, disincantato, incredulo, in cui provi a capire il perché ... , ma vieni travolto da tutto ciò che ti circonda.
Il perché di questo non lo so. Forse noi europei, noi "ricchi" (ma di quale ricchezza .. . ) dobbiamo trovare una risposta a tutto, dobbiamo controllare tutto: anche il tempo. In Africa non è possibile. L'Africa è l'irrazionalità e la razionalità al tempo stesso.
Suor Alicia, i primi giorni, ci disse che in Africa si deve entrare a piccoli passi, per non essere travolti da una realtà e da una vita così differente dalla nostra. Anche l'essere più piccolo, anche una formica, si sente dentro ad un tornado di sensazioni ed emozioni in cui si fa fatica a descrivere ciò che si vede e si vive in una terra così povera.
Non nascondo che il mio cuore, per tutto il viaggio, e tuttora, è piccolo, pesante, pieno di amore per quei bambini, ma pieno di impotenza e di voglia di fare. In Africa si piange. Le lacrime scendono o sul viso o nel proprio cuore. Il mio cuore è stato scosso da un sorriso, da una richiesta di semplice affetto, d'amore, di felicità con poco, di serenità nel nulla, dall'ospitalità delle suore, dalla povertà, dai carcerati di Dapaong, dall'inevitabile confronto con il nostro benessere, da come in Africa ogni piccolo gesto possa risultare grande e pesante ai nostri occhi.
Quando stavamo a Niamtougou, incontrando un primo gruppo di bambini aiutati da Voi [sostenitori ndr], alla fine della giornata dopo che avevamo giocato, danzato, riso con loro, nel momento di salutarci, si ricordano di darci un regalo. Già i bambini avevano fatto una colletta, per comprare un regalo per il Se.A.Mi, e quindi anche per Voi, per il vostro aiuto, per l'opportunità data a questi ragazzi di andare a Scuola.
Non saprei cosa possa essere più irrazionale: le realtà così assurde di miseria e povertà o il nostro troppo e superfluo benessere. In Africa ho visto gente morire di fame, di denutrizione, ho visto carcerati trattati peggio delle bestie, ho visto bambini sorridere per un palloncino! Bambini felici giocando con i copertoni delle motociclette, bambini scalzi, bambini che lavoravano i campi, bambini fare la fila per mangiare senza lamentarsi, eppure ti mostravano un affetto, una serenità disarmante.
I nostri bambini, i nostri nipoti?! Ci sono momenti che non li sopportiamo neanche, altri in cui per loro neanche esistiamo perché sono troppo presi dalla "loro" televisione, davanti alla quale, a volte siamo proprio noi a parcheggiarli per la nostra pace. Hanno tutto. Ma quanto di troppo?! Quanto è il tempo che dedichiamo ai nostri piccoli? Perché è così difficile parlare, ascoltare, giocare con i nostri bambini?!
C'è un'altra cosa che ho impressa nella mente. A Dapaong Suor Eleonora si dedica anima e corpo ad un carcere, si può dire che ha perso la testa per quei carcerati. Non capivo il perché di questa sua passione per queste persone, fino a quando non sono entrato in quel buco più simile ad una stalla che a quello che chiamiamo carcere. Ancora è forte il ricordo: il caldo, l'afa, l' odore di benzina e ammoniaca che era stata buttata per terra per dare un'apparenza "umana'' di pulito al nostro arrivo. E poi quelle persone davanti a noi ad un metro di distanza. Lei ci disse che negli occhi di queste persone vede il volto di Gesù Cristo, e stando lì dentro, ho capito il perché.
Non le importa cosa abbiano fatto, sono sempre esseri umani che, senza l'amore di questa suora, sarebbero trattati peggio degli animali, lasciati morire di fame e di chissà quale altra malattia. Anche qui non riesci a trattenere le lacrime.
Come l'uomo può calpestare i diritti umani in quel modo? Non riesco a dare una risposta. Eppure anche in loro c' è qualcosa di forte nei loro occhi; una luce, una speranza, forse data proprio dall'aiuto di Suor Eleonora, dalla sua semplicità, tenacia, bontà. I carcerati ci hanno detto che per loro, lei è un Angelo del Signore.
Quest'angelo che si affanna a portare due volte a settimana del pane (perché lì passano un pugno di pasta a mezzogiorno e basta), del sapone per le malattie della pelle, che porta in ospedale chi sta male (almeno quando ha soldi a sufficienza, perché bisogna comprare tutto: dai guanti per il medico ai farmaci ecc.), e lì, dentro ad uno dei buchi (chiamarle celle è troppo), c'erano quattro persone ridotte pelle ed ossa che non avevano neanche la forza di alzarsi, gente che moriva lasciata lì per terra. Suor Eleonora in macchina mi disse che i nostri carcerati in Italia, in condizioni del genere, avrebbero fatto scioperi, i media ne avrebbero parlato, ma lì a Dapaong quelle persone non hanno neanche il diritto di parlare! Mi domando da quel giorno: se sarò in grado di essere la loro voce. E così anche voce di una realtà bella e contraddittoria come quella africana.
Come questo angelo ce ne sono tanti: c'è Suor Alicia, Suor Chantal, Suor Rita, Suor lsabelle, Suor Leontine ed il suo lavoro faticoso e costante al dispensario di Yaka, Suor Juliette, Suor Bienvenue, Suor Emilia, Suor Perpetue, le novizie, i ragazzi che aiutano le suore nella missione, e Voi [sostenitori ndr] che con la vostra carità donate una grande speranza a questi bambini.
L'Africa in qualche modo ti penetra dentro, ti stravolge tutto. Metà del mio cuore è rimasto lì, in mezzo ai bambini, alle suore, al loro esempio cristiano di bontà e di Amore verso il prossimo, verso chiunque bussi alla loro porta.
A chi è in Italia ed aiuta le missioni, il Se.A.Mi, dico da parte degli angeli che ho incontrato e conosciuto in questo viaggio: GRAZIE!
IN MEZZO AL GRANTURCO (Una giornata a Niamtougou)
di Cecilia
Cecio vieni, andiamo a far le foto alla casa di Sophie! Ci vuol far conoscere la nonna " Mara mi prende per mano, in fretta mi informa sulla situazione familiare di Sophie e raccomandandomi di bagnarmi la testa e magari di mettermi anche un cappello, mi trascina in cucina...
"Ma? Sono appena le 10.30 e già si mangia? Sarà l'Afrique, ma io non ci sto capendo più nulla con questi orari..."
In realtà si tratta solo di prendere una banana ... un bacio a Lola che corre via ... e ci incamminiamo ... "Se suor Perpetue ci ha dato una banana quanto dovremo camminare? .. Bah, io mange se no l'Afrique me mange!"
Finalmente pronte, ci mettiamo in marcia ... Sophie alla testa con la sua amica Elise ... non posso credere che queste due ragazze abbiano solo 13 anni ... sembrano più grandi di me!
Scopo della nostra passeggiata è conoscere la nonna di Sophie, ma sarebbe impossibile lasciare la missione io, Mara e Sophie ... tutti i bimbi con cui abbiamo giocato fino a due secondi fa non ci lascerebbero andare ... sono lì per farci da "ciceroni" nel loro villaggio ... e del resto noi non vediamo l'ora di conoscere Niamtougou attraverso i loro occhi e i loro racconti ...
Mi corrono incontro Paoline e Bienvenue ... queste due bimbe sono uno spasso ... sempre insieme, sempre lì nell' apatam o a giocare nel cortile della missione ... due nanette ... sembrano Bibì e Bibò! Le prendo per mano e, da dietro, un'altra bimba mi si attacca alla maglietta ... Ok, in marcia!
C'è anche Andrè, Maximine, Mary Mara, David ... e quanti altri ... ; sulla strada di Niamtougou il gruppetto si infoltisce ... camminiamo cantando, ridendo ... Mara già comincia a fare foto ... non può proprio resistere lei! E certo non dobbiamo passar inosservati ...
Le signore ci salutano, i bimbi sul ciglio della strada, prima si fermano a guardarci ... li salutiamo, ci salutano, un sorriso e qualcuno si unisce a noi ... qualche bimbo già lo conosciamo, era ieri a giocare con noi a rubabandiera... qualcuno trova i suoi amichetti ... insomma, alla fìne abbiamo formato proprio una bella processione ... mi balza alla mente la favola del pifferaio magico ... ma francamente non saprei proprio dire se siamo io e Mara a trascinare i bimbi o se sono loro a condurci tra il granturco, alla scoperta delle loro casette, delle loro famiglie, della loro realtà ...
Con il senno di poi opterei per la seconda! E' bastato poco perché perdessi il senso dell'orientamento ... Camminiamo trotterellando su sentierini battuti; sotto i miei piedi la terra rossa del Togo, quel rosso argilla che rende tutto più vivo ... alla mia destra granturco, spighe verdi crescono alte sopra la mia testa, alla mia sinistra ancora granturco ... siamo circondati .. .Ops! Un ragazzino sfreccia ridendo davanti a me ... è sbucato dal granturco! Una stradina stretta porta dritta a casa sua, ci ha sentiti arrivare e ha pensato bene di unirsi anche lui, come gli altri ci vuol far vedere la sua casa ...
Casa di Sophie sarà solo la prima in cui saremo accolte davvero a braccia aperte! Braccia che al nostro arrivo si aprono in un abbraccio tra il commosso e l' intimorito... "Salut! Bonjour! Comment ça va?" ... il mio francese lascia molto a desiderare, ma ai convenevoli ci arrivo anch'io ... Convenevoli, perché anche per questa donna che probabilmente mai si sarà seduta ad un banco di scuola, sono solo suoni ... il senso vero di quel che vogliamo comunicare lo si coglie nel sorriso, nella stretta di mano; una mano ruvida, ma forte per essere di una donna di 90 anni o giù di lì... Stringe a sé Sophie, chiama un'altra donna, la zia che si affaccia da dietro la porta in lamiera della casetta in fango ... così tonde queste casette mi fanno pensare ai trulli della Puglia, ma quanto bisogno abbiamo di ricollegare le novità a immagini già viste? Penso sia davvero paura, incapacità del diverso, del nuovo ...
Oggi voglio non fare collegamenti, non voglio incasellare quel che vedo, voglio solo aprire gli occhi su questi volti sorridenti, le narici a tutti gli odori della campagna, le orecchie alle risate, ai pianti di Paoline che è rimasta indietro ... Liberarsi dagli schemi mentali, liberarsi da noi stessi; questo credo sia l'approccio più giusto per conoscere quest'Afrique, ma se ben ci penso, un'apertura del genere quanto sarebbe auspicabile anche in tutte le relazioni che ho lasciato a Roma ...
Non mi vergogno ora di pensare alla mia realtà romana ... perché il bello di questo viaggio penso sia stato proprio lo scambio forte che, ho avvertito con questi bambini, con queste donne straordinarie ... nell'immediatezza dei rapporti, nella semplicità dei gesti, delle loro vite; mi hanno insegnato tanto e questo bagaglio lo voglio ben custodire ... se peserà più dei 13 kg consentiti dall'Air France non importa, pagherò la sopratassa!
Non posso certo dimenticare l'accoglienza della mamma di Elise, il desiderio di mostrarmi concretamente la loro realtà ... non mi sentivo più un'intrusa, ma un'ospite gradita!
Senza parole, (che comunque non avrei compreso) questa donna dagli occhi nocciola, i caratteristici segni sulle guance, un sorriso timido le illumina il viso, abbandona per un attimo la sua minestra e, circondata dai bimbi, festanti galline, tacchini svolazzanti, mi prende per mano e con fermezza e un'abilità di cui io non sarei capace, "issa" sulla mia schiena la sua bimba più piccola Adeline, 4 anni, la pancetta gonfia, due guance così tonde che viene voglia di mangiarle di baci, due occhietti così luccicanti ... povera piccola, che ti stanno facendo? La mamma sembra sicura ... Mentre sorreggo Adeline da dietro, lei me la lega con una stoffa colorata ... una specie di marsupio ... come ridono tutti ... Beh, certo se me ne sto tutta piegata in avanti ... non devo avere una posizione molto naturale! Ho paura che mi cada e se si mette a piangere ... Finalmente capisco che devo stare su eretta e Adeline ride ... ora sta comoda!
Ma con la stessa stoffa ci si può far anche una gonna! E' geniale! André, con il suo fiorellino in mano, mi concede un ballo .. . tre, quattro piroette e già si è stufato ... ma no, è solo timido, ma quando ride è troppo bello!
Non è finita; la mamma di Elise e Adeline, presa dall' entusiasmo, mi vuol mostrare anche come si tira su l'acqua dal pozzo ... in verità si tratta di una buca non più profonda di un metro ... un secchiello di plastica dura legato ad una corda "Mamma mia, è pesante!" Oh bimbi, correte, andate a versare l'acqua in un recipiente... scola tutta ... il secchio perde a destra e a sinistra!
Prima di allontanarci da casa di Elise, la mamma ci fa notare che dietro di noi un signore con tre balzi è salito su una palma... neanche una scimmia sarebbe stata così agile! Ma cosa fa? Sta raccogliendo delle noci di cocco per noi! Io e Mara non sappiamo che dire ... ma i più che ringraziare non possiamo fare ... com'è belÌo imparare anche ad accettare i doni senza l' arroganza di chi si sente già ricco di tutto! Ehi, ma che ore saranno? Sicuramente sono più di due ore che stiamo in giro ... ci conviene affrettare il passo ... Bimbi, riportateci alla missione! Chissà dove saremo?! Nel granturco, con Bienveneu sulle spalle che ripete insieme a me: "Che caldo!" Elise mi prende per mano ... non me la lascia mai, neanche quando la strada si fa stretta stretta... Corriamo corriamo ... se no suor Elisa chi la sente? Non è prudente stare via tanto tempo sotto il sole!
Corriamo tutti insieme!
ERO COME UN'ACROBATA PROTETTA DALLA RETE ... (Le parole non possono rendere l'idea)
di Livia
Alla gente che mi chiede com'è andato il viaggio in Africa non so dire altro che "Bene!", ma se queste persone chiedessero della mia esperienza ai miei compagni di viaggio, la loro risposta sarebbe del tutto diversa. Ma come posso spiegare a parole ciò che ho provato e provo tuttora, se neanche io riesco a capirlo? Le parole non possono rendere l'idea di quella realtà e tanto meno di ciò che si sente quando ci si trova in mezzo ad essa ...
Mi si chiede di scrivere cosa mi ha regalato l'Africa ... beh ... non lo so ... tutto e niente, anzi potrei addirittura dire che è stata Lei a prendere qualcosa da me. Le ho regalato parte del mio cuore e della mia mente, quella parte di me che non è riuscita a lasciare il sorriso di quei bambini, la luce dei loro occhi.
Ma a dirla così, sembra che sia andato veramente tutto bene" e invece ... ciò che ha smosso i cuori degli altri non è riuscito a scalfire il mio; quello che è stato :sconvolgente e traumatico per gli altri, per me è rimasto distante come la scena di un fìlm, è come se l'Africa mi avesse privata della mia capacità di comprendere, della mia sensibilità e delle mie lacrime.
Mi vedo un po' come un funambolo, lì in piedi sulla mia bella corda; cammino tranquilla perché ho la certezza che sotto ci sia la rete. E quella rete mi dà sicurezza, ma allo stesso tempo mi impedisce di vedere la terra sotto di me e le altre persone che in tutti i modi cercano di stabilire un contatto con me. ln Africa io ero quest'acrobata protetto da ogni rischio di trauma e, contemporaneamente, privo di sensazioni ed emozioni, impassibile di fronte al tentativo di chiunque di avvicinarsi a me.
Troverete in queste righe troppe contraddizioni; dovete sapere che l'Africa per prima è un'enorme contraddizione, ma forse proprio il non riuscire a comprendere le mie parole vi porterà più vicini a capire come mi sentivo allora e come mi sento ad un mese dal nostro ritorno. Il mio viaggio si riduce a tre momenti in cui il funambolo è riuscito ad intravedere, tra le maglie della rete, le altre persone e alla fìne le ha raggiunte.
Del mio primo contatto con l'Africa, il giorno in cui siamo andati a trovare i carcerati, ricordo l'angoscia di oltrepassare la soglia, la tentazione di scappare, il terrore di alzare gli occhi e vedere (non sapevo poi cosa avrei visto), un misto di vergogna e di paura che mi spingeva a nascondermi dietro gli altri e poi ... lo stupore di trovare un'inaspettata luce negli occhi di alcuni di loro ed un sorriso sui loro volti e, dall'altra parte, il dolore che mi hanno procurato quei due occhi nel totale buio di quel buco di sofferenza e quasi morte. Ma più di tutto ricordo, ed anzi sento ancora, quell'odore nauseante che ti impregna i vestiti e ti invade le narici e ti arriva ai polmoni e lì ristagna, ricordandoti ad ogni respiro ciò che hai visto. E comunque nemmeno una lacrima è scesa dai miei occhi.
Due giorni dopo eravamo a Niamtougou e siamo andati a visitare il dispensario del villaggio vicino, Yaka ... il funambolo ha cominciato a scendere ... C'era questa bambina, avrà avuto circa 5 anni, è arrivata al dispensario, era silenziosa, non capivo quale fosse il suo problema, dopo pochi minuti è scoppiata in un pianto che risuona ancora nella mia testa ogni volta che ci ripenso.
Aveva un'ustione di terzo grado, si era rovesciata addosso una pentola di acqua bollente, almeno così mi sembra di aver capito, quando era stata medicata erano a corto di garze grasse, che si usano in queste situazioni, così hanno dovuto utilizzare quelle normali che si erano attaccate alla sua pelle o a quello che ne rimaneva dopo l'ustione.
La bambina ha cominciato a urlare e le sue urla erano come un trapano che mi perforava le orecchie, all'inizio sono rimasta lì, vicino a lei, per cercare di tranquillizzarla, ma poi quel lamento è diventato così forte e straziante che non ce l'ho fatta, sono dovuta uscire, mi sono seduta e ho cominciato a respirare profondamente cercando di non dar peso alle urla, ma erano così forti ... e quando mi sono alzata, sono svenuta. Non è stato tanto l'orrore dell'ustione a farmi crollare quanto la sofferenza di quella bambina, sofferenza che cominciavo a sentire mia.
E come nella Sua migliore tradizione, dopo averti mostrato il suo dolore, il giorno dopo l'Africa ti offre il suo volto sorridente che ritrovi nei Suoi bambini i quali non hanno altro da darti se non il loro sorriso, ma te lo regalano con tanta facilità che ti senti quasi in colpa perché tu hai tutte quelle inibizioni che il tuo mondo e la tua vita occidentale ti mettono addosso per proteggerti (non si sa poi da cosa, come se un sorriso potesse ferirti!) o più semplicemente per evitare che qualcosa ti distolga dalla tua placida e quasi apatica, per quanto frenetica, esistenza, e allora ti senti frenato.
Ma poi senza accorgertene torni un po' bambino anche tu e allora ti trovi a giocare con loro e li vedi che si divertono anche solo battendo le loro mani sulle tue e cominci a scioglierti anche tu e te li mangeresti a forza di baci e allora ti dimentichi che sono vestiti solo di stracci, che sono sporchi e che poco prima quelle mani erano in mezzo alla terra.
È a questo punto che il funambolo scende a terra e comincia a parlare con quelli che prima a mala pena vedeva e insegna loro a fare la linguaccia sì, è una cosa stupida, ma non sapete quanto si divertivano quei bimbi e quando anche loro cominciavano a tirare fuori la loro linguetta, quello era un gran traguardo, ma l' apice si raggiungeva quando ti salutavano con gli occhi un po' lucidi e ti davano un bacino, cosa che non avevano mai fatto prima d'allora perché lì non si usa, eppure a questo punto c'è questo bellissimo rapporto fatto di silenzio, perché loro non parlano francese e certo tu non parli il togolese o il burkinabè, ma c'è comunque l'amore che parla per voi e lo sguardo luminoso e i sorrisi abbaglianti che dicono tutto ciò che c'è da dire.
Mi trovo, un mese dopo il nostro ritorno, a non far altro che pensare a Lei, l'Africa, e a quelle due bambine a cui ho lasciato una parte del mio cuore ed a cui torna in ogni istante la mia mente.
Mi trovo con un atteggiamento quasi maniacale che mi porta a spegnere la luce di una stanza anche se la dovrò riaccendere dopo due secondi, a chiudere il rubinetto dell'acqua anche se dovrò riaprirlo un momento dopo, a pensare per dieci minuti alla procedura che mi fa sprecare meno energia elettrica per qualunque cosa io debba fare, a sbattere contro mobili ad inciampare in scarpe o altro per non voler accendere la luce.
Mi trovo con tanta voglia di realizzare mille progetti, ma allo stesso tempo, con tanta paura che questi siano troppi e troppo grandi per me, con il desiderio di trasmettere agli altri qualcosa della mia esperienza, ma con quest'incapacità di comunicare pensieri e sensazioni.
Mi trovo con tanti dubbi su me stessa, sul mio futuro, ma con la certezza che, se anche la mia vita non andrà come ho programmato, non per forza quel che sarà, sarà negativo e che qualsiasi cosa il Signore avrà in serbo per me, concorde o no con i miei progetti, sarà comunque una ricchezza.
PICCOLI PASSI AVANTI (L'istruzione è il futuro degli africani)
di Marzio
Alcuni giorni dopo il rientro dal viaggio in Togo e Burkina, ho deciso di partire per Milano. Sentivo il bisogno di vedere, percepire, vivere il benessere; avevo con me nello zaino solo un libro e la mia inseparabile carta di credito.
Professionisti, imprenditori, turisti: l'estate non era ancora finita, ma la città si era già ripopolata.
Ho visitato il duomo, il cenacolo, il castello, la pinacoteca e tanti tanti negozi. Ricchezza, opulenza, eccesso, spreco, mi sentivo finalmente meglio, un'endovena di consumismo.
Sono tornato dall'Africa e non ho smesso di fare shopping né di viaggiare e mangio ancora spesso al ristorante.
Ma quando piove, il mio pensiero va ai carcerati che abbiamo incontrato in Togo e ad un angelo di nome Eleonora che li accudisce.
Quando sto male, penso ad Alicia, missionaria di Koupelà, e all'amore che ha dimostrato curandomi e coccolandomi nei giorni in cui mi era venuta la febbre.
Quando ho davanti un piatto pieno, penso alle scodelle sbeccate usate dai bimbi africani per poggiare, il tempo minimo necessario, data la fame, il riso preparato dalle suore.
E quando offro la carta di credito per pagare i miei ultimi acquisti, sogno che Charlotte, la bambina che ho adottato, un giorno non troppo lontano possa fare altrettanto.
L'istruzione è il futuro degli africani, il progresso dell'Africa è anche un nostro dovere; un'adozione a distanza è solo un piccolo passo, ma nella giusta direzione.
Viviamo la nostra vita nel benessere, ma non dimentichiamo chi questo benessere non può neanche immaginarlo.
L'AFRICA SULLO SCHERMO (l'Africa che dona più di quello che prende)
di Viridiana
Grazie ai racconti di Suor Elisa, Mara, Francesco e tutti gli altri ragazzi del Se.A.Mi. che sono tornati dall'Africa, anche noi che non siamo partiti, possiamo respirarne l'aria. Ecco allora un'altra storia: Karim e Sala sono due giovani di 12 anni; Karim, figlio di contadini, orfano di madre, affidato ad uno zio tiranno, fugge da casa. Sala, una ragazza di città, figlia di benestanti si reca al villaggio per vacanza. I due si incontrano e iniziano a vivere delle avventure tra il villaggio e la città. Nonostante la tenera età, si legano tanto da decidere di non lasciarsi più.
Questa è la trama di Karim e Sala, film di Idrissa Ouedraogo, nato a Banfora, in Burkina Faso. Ed ancora la siccità che minaccia il villaggio e spinge Tenga a recarsi a Ouagadougou per cercare, inutilmente, lavoro. "Tenga" di Idrissa Ouedraogo. Nonostante la capitale sia spesso il luogo della perdizione, confrontata con la purezza del villaggio, essa è pur sempre l'emblema del paese di origine. Così, con amore e partecipazione, Ouedraogo la racconta in "Ouagadougou, Ouaga deux roues" (Ouagadougou due ruote). Un viaggio su due ruote sulla strada principale dove si incontrano persone, si svolgono attività, tra il mercato e le pozzanghere del temporale pomeridiano, le case di paglia e terra ed i palazzi governativi. La stessa città dove nell'episodio di "11/11/2001" dei bambini pensano di vedere Bin Laden. Lo cercano, lo inseguono, lo filmano. Lo scopo: la taglia, serve per curare la mamma di uno di loro.
Storie di giovani, di uomini e donne che sopravvivono. Esse sembrano la trasposizione di quelle che, tramite le suore missionarie di Seillon, riceviamo sulle schede dei bambini che attendono un'adozione. Storie molto simili tra loro. In "Kwamt il regista togolese Do'Kokou Metonou (conosciuto come Jacques Quenum) ci racconta di due giovani che, ancora una volta, lasciano il villaggio per cercare fortuna a Lomè. Essi incontreranno la prostituzione e l'umiliazione perdendo la dignità, che pur tra gli stenti, avevano al villaggio. Si incontrano in città e fingono di non conoscersi, vergognandosi di quello che sono diventati.
Ma il valore dell'amore, dell'amicizia, il legame con la terra natìa li spinge a ritrovarsi, per tornare insieme al villaggio e sposarsi. Non è l'Africa patinata, hollywoodiana, ma la vera .Africa, quella che anche il Se.A.Mi. nei suoi viaggi incontra, quella che lascia nel cuore, negli occhi, nell'anima un profondo senso di indignazione, ma anche e soprattutto di coraggio.
L'Africa che dona più di quello che prende.
INVITA L'AFRICA AL PROPRIO MATRIMONIO
di Alessandro
Il matrimonio è solo un business? Un matrimonio è un lieto evento, si sa. E' il sogno di due fidanzati che si realizza. E il sacramento che unisce in Dio l'uomo e la donna, nel cammino verso la santità. È l'Amore che si dona ogni giorno, è la Tenerezza di Dio che si fa umana. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date": questo è il comandamento per chi si ama e si promette amore eterno, è il passato e il futuro che il fatidico "sì" unisce nel giorno del matrimonio.
Eppure è comune all'esperienza di tutte le coppie di sposi la preoccupazione per l'organizzazione: abito, inviti, fiori, regali, acconciatura, bomboniere ... Tutto questo spesso si scontra con l'autentico significato del matrimonio, sino a prevalere, soprattutto nell'imminenza della fatidica data: e così fiorisce "l'industria del sì"!
Tante sono però le coppie che avvertono questa contraddizione e cercano risposte coerenti con la loro scelta, per non cadere nella rete di proposte che il mercato offre, creando artificiosamente un "modus faciendi" da rispettare. Ma allora che cosa possono fare due sposi per rendere diverso il loro matrimonio, per far sì che non diventi solo un business? Sono tante le idee per rendere originale un matrimonio, per non dimenticarsi del prossimo in un giorno di festa, per comunicare agli altri un messaggio di condivisione.
Si può rinunciare ad una portata di un già abbondantissimo banchetto di nozze, destinando l' equivalente a chi è nel bisogno, si può rendere' ,un viaggio di nozze un'occasione per incontrare autenticamente e magari aiutare popolazioni in difficoltà; invece dell' argenteria o dei tanti servizi di piatti e bicchieri, si può chiedere come regalo di nozze un gesto di carità per i poveri, invece di comprare le solite bomboniere, si può scegliere di dare il ricavato in beneficenza oppure di cercare un oggetto che sia il segno tangibile di una cultura diversa e sia anche l'occasione per dare più dignità al lavoro di persone semplici.
Forse la chiave di tutto è lasciare spazio alla fantasia della coppia, per rendere ancora più umano e caldo un evento così bello.